Con pronuncia resa a Sezioni Unite nel 2018, la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dell’assegno divorzile dirimendo il contrasto giurisprudenziale creatosi in merito all’individuazione dei criteri attraverso i quali valutare la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione dello stesso.
Ai sensi dell’art. 5, comma 6, L. 898 del 1970, così come modificato con L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio richiede infatti l’accertamento dell’ “inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”: il dibattito giurisprudenziale ha riguardato il criterio cui comparare l’adeguatezza ovvero l’inadeguatezza dei redditi del coniuge richiedente.
Per lungo tempo, a seguito della storica sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990, il parametro di riferimento si è attestato sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, riconoscendo a detto assegno natura assistenziale.
Le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla natura stessa del legame matrimoniale e sulla disciplina giuridica dell’istituto hanno determinato l’esigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella sentenza delle S.U. del 1990. Ciò, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione, disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nonché a quello connesso della deresponsabilizzazione, inevitabile conseguenza dell’adozione di un criterio fondato solo sulla comparazione delle condizioni economico-patrimoniale delle parti.
La necessità di ripensare ed attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio si è posta anche in relazione agli standard europei.
Su queste premesse, la Suprema Corte ha in primo luogo ritenuto di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, comma 6 più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.
A fronte del richiamo ai principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione ed autoresponsabilità, il parametro cui riferire i mezzi adeguati è ad oggi da riferirsi al contributo fornito alla realizzazione della vita familiare e a quella che sarebbe stata la situazione reddituale del coniuge senza i sacrifici conseguenti a scelte patrimoniali condivise.
E’ vero che l’art. 5, comma 6 L. 898/1970 attribuisce all’assegno di divorzio una FUNZIONE ASSISTENZIALE, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente relativo ed impone una valutazione comparativa fondata, in primo luogo, sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti. In secondo luogo, tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, L. 898/1970: ciò, al fine di accertare se l’eventuale disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endo-familiare, e con contributo del coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge.
In sintesi, ai fini dell’ottenimento dell’assegno divorzile, il giudizio di “adeguatezza” impone una valutazione composita: la situazione economico-patrimoniale del richiedente costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza; tuttavia, detta situazione non va assunta come una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta, dovendosi accertare se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle caratteristiche della unione matrimoniale, così come descritti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, L. 898/1970.
La FUNZIONE ASSISTENZIALE dell’assegno di divorzio si connota, in questo modo, di un CONTENUTO PEREQUATIVO-COMPENSATIVO: per stabilire se attribuire o meno l’assegno divorzile, il giudice deve innanzitutto verificare se sussista un divario rilevante nella situazione economica dei coniugi, con l’esercizio di eventuali poteri istruttori d’ufficio. In assenza di squilibrio, non vi è alcun diritto al percepimento; in caso contrario, si deve comprendere quale ne siano le ragioni. Se la condizione di squilibrio economico-patrimoniale esistente tra i coniugi è eziologicamente riconducibile alle decisioni che gli stessi hanno preso in costanza di matrimonio rispetto ai ruoli endofamiliari da ciascuno assunti, questi ha diritto all’assegno, stante la rilevanza centrale della FUNZIONE COMPENSATIVA. A ciò si può assistere, a titolo di esempio, allorquando vi sia prova che mentre il marito assolveva al proprio onere di contribuzione ai bisogni della famiglia in maniera prevalentemente economica, coltivando la propria posizione lavorativa, la moglie, per scelta condivisa, vi contribuiva in massima parte occupandosi della gestione della casa e della crescita di figli, con rinuncia alla costruzione di un percorso professionale e reddituale. Viceversa, qualora nessuno dei coniugi si sia sacrificato a tal fine (non vi sono state rinunce delle parti allo sviluppo della propria professionalità per favorire la crescita della famiglia), non vi sarà spazio per il riconoscimento di un assegno divorzile.